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De globalizzazione (in termini spiccioli)

Spesso mi viene chiesto, con facce preoccupate, come abbiamo potuto sopravvivere dall’altra parte del mondo, lontani dalla civilta’. Io rispondo la verità, ossia che non abbiamo avuto difficolta’ a procurarci le cose basilari, dal dentifricio, allo shampoo, alla saponetta. E aggiungo, con un sorriso ironico, che abbiamo trovato la Barilla ovunque: i supermercati sono uguali in tutto il mondo, cambiano le percentuali della presenza della merce, non la tipologia (più o meno riso, più o meno pasta, più o meno noodles). Loro fanno un sospiro di sollievo, rassicurati. A me viene da piangere.

Per me i supermercati uguali in tutto il mondo sono una sciagura. Penso a Chinatown a Bangkok, alle stradine della vecchia Hanoi, al mercato di Cuzco, ai banchi dei negozi di Cuba…e sento nostalgia per questo mondo destinato a scomparire, tra i sospiri di sollievo generali. Si preferisce la sicurezza alla diversità, lo trovo agghiacciante.
Se devo pensare al marchio più’ global, la superstar è lei: la Coca-Cola. L’abbiamo trovata ovunque, anche dove non c’erano l’elettricita’ o le strade…pero’ abbiamo trovato il tendone bianco e rosso, oppure le sedie di plastica marchiate The Coca Cola Company. In Amazzonia, nelle montagne in Thailandia, nel villaggio andino più’ sperduto, dove la gente comunica con la radio perchè il telefono non è arrivato…ovunque la terribile insegna, fiera nella sua completa solitudine. Ovunque, e’ più’ semplice trovare una Coca che un’acqua. E nel nostro delirio di bere solo bevande locali, ci siamo scontrati con lo shopping di marchi: tu pensi di bere una cola locale, ma in realta’ il liquido giallastro che stai bevendo e’ proprietà di The Coca Cola Company. Basta prestare attenzione all’etichetta: dietro bevande tipiche, etichette locali, nomi poco affascinanti, si nasconde spessissimo la scritta The Coca Cola Company, nel suo innocuo ed elegante corsivo. Dall’aranciata all’acqua, dalla bevanda energetica al succo di frutta, dal te alla birra analcolica. A un certo punto è diventata una questione di principio bere qualcosa con marchio diverso da CocaCola: per tener fede al nostro proposito in Bolivia e Peru’ dovevamo bere il Gatorade…tutto il resto era vietato, anche l’acqua naturale.

Per questo motivo non vedevamo l’ora di arrivare a Cuba, per essere liberi da questa persecuzione: eravamo fieri di arrivare in un paese privo delle odiose sedie di plastica marchiate e dell’orso bianco natalizio. Eravamo quasi orgogliosi che l’embargo tenesse il paese vergine dalla CocaCola. Poi siamo arrivati a Cuba. E abbiamo rischiato lo svenimento. Immaginate la nostra delusione nel trovarci, all’aeroporto de La Habana, davanti a frigo pieni delle lattine rosse…ma come, e l’embargo? Perche’ ci sono le Pringles, ma non si trova la ciprofloxacina (un antibiotico)? Le lattine arrivano dal Messico e dal Venezuela? Ma come fanno con l’embargo, non dice che qualsiasi azienda che faccia affari negli States ha divieto di fare business a Cuba? ah, ci sono gli escamotage…ah, quando ci sono di mezzo tanti soldi si trova il modo di aggirare le regole..ah, ok, questa l’ho già sentita.

Nella classifica dei marchi più global, in seconda posizione dopo la CocaCola, vengono i biscotti Oreo: li abbiamo trovati dall’Asia al Messico, sempre, in qualsiasi spaccio di qualsiasi buco di paese. Odiosi, con la loro confezione blu elettrico.
E poi la crema Nivea, vista anche nei negozi di Rurrenabaque, alle porte dell’Amazzonia. E il Sunsilk, che cambia nome in base al continente, ma sempre quello rimane, proprieta’ Unilever. E gli assorbenti Nuvenia, i Ritz, il Kinder Bueno e l’ovetto Kinder, la Heineken.
Invece di tirare sospiri di sollievo, mi viene da piangere. Eccola toccata con mano la globalizzazione: vedere mercati fotocopia dal Laos a Lima, pieni di merci contraffatte e scimmiottate. Le strade dello shopping uguali ovunque, con gli stessi marchi in esposizione a Cuzco come a Miami. Entrare in una farmacia cinese piena di barattoli con erbe e animali strani, e vedersi offrire lo stesso cortisone dato dal medico dell’IDI di Roma…e la medicina tradizionale dov’è finita?. Le catene alimentari, dove il Mac è solo uno dei tanti. Vestirsi uguali dal Vietnam all’ultimo villaggio dell’entroterra messicano, W la globalizzazione dei leggings 😉 e di H&M. Ascoltare la stessa musica, ballare le stesse hit, con quelle sudamericane particolarmente di moda.

Altro che libertà di scelta…siamo in mano di poche, pochissime aziende,  e siamo felici ed uniformati, uniformamente felici. Io mi sento circondata. E fottuta.

PS: si, lo sapevo e lo sapevate già, e non c’era bisogno di stare in giro 239 giorni per scoprirlo. Ma vi assicuro che toccarlo con mano così…è un’altra cosa, e fa rizzare i capelli.

PS2: nell’immagine in evidenza, il cartellone Coca Cola in uno sperduto villaggio in Bolivia, ad n-mila metri di altitudine…anche se qui c’è anche l’elettricità, quindi siamo già più in mezzo alla civiltà

EffeFemmina

Francesca V., 30 anni. Insieme a Francesco (la EffeMaschio) decide di mollare tutto e partire per un viaggio intorno al mondo...Ed è li che inizia l'avventura che raccontiamo in questo blog... ;)

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2 risposte

  1. linda ha detto:

    Condivido tutto il tuo sdegno… Mi sento già io impoverita, tanto…non conosco nemmeno un dialetto… spero, quando visito posti nuovi, di assaporare gusti nuovi e l’artigianato…com’è difficile trovarlo, com’è difficile trovare la “personalizzazione”… c’è da piangere, sì. Insegnamo ai nostri figli a conoscersi, ad esprimersi, e a condividere le diversità!!!!

    Linda

    • EffeFemmina ha detto:

      Esatto Linda, l’artigianato e’ scomparso, sostituito quasi in toto da finto-artigianato, che pero’ trovi uguale dalla Sardegna a Cuba, passando per il Cile :S

      Penso che voi genitori abbiate il compito piu’ difficile: insegnare ai vostri figli ad amare il mondo perche’ diverso, non solo accettare la diversita’, imparare ad amarla e a condividerla, come dici tu!

      Un abbraccio

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